Tanti anni fa una domenica di fine estate feci un’escursione veloce e solitaria sul Viglio il giorno della locale festa degli Alpini, una volta in vetta mentre la mente spaziava da una riflessione all’altra mi venne in mente di chiedere se potevo ristrutturare un vecchio rifugio in legno che proprio il gruppo alpini aveva installato diversi anni prima non lontano dal paese a circa 1000 m di quota sul versante est della breve catena montuosa del monti Cantari in un luogo molto caro alla mia famiglia. Nelle settimane successive chiesi all’allora capogruppo, il caro Fausto, se potevo occuparmi della ristrutturazione e della cura di quel luogo e lui anche se non più giovanissimo ne fu fin da subito entusiasta come un bambino. Oltre ad autorizzarmi a procedere mi ringraziò e si mise a disposizione per dare una mano con il suo gruppo. Al primo sopralluogo mi resi conto che la situazione in cui versava la piccola struttura non permetteva una veloce risistemata ma interventi più pesanti. Intanto tra i mille impegni arrivò l’inverno, un giorno riuscii a trovare qualche ora libera da dedicare al progetto e decisi di andare a sistemare almeno la porta e la finestra per evitare ulteriori danni all’interno, arrivato in macchina all’attacco del sentiero, misi nello zaino viti, avvitatore ed un po’ di attrezzi e mi incammina su un soffice strato di neve con sulle spalle alcune tavole. Poco più su la neve iniziava ad essere molta e la progressione risultava essere lenta e faticosa dato il peso dello zaino, fino a quando, poco distante dall’arrivo mi dovetti arrendere e rinunciare al primo tentativo. Tornai dopo qualche settimana a chiudere e in quella occasione feci un rapido conto del materiale necessario. Nella lista delle cose da portare oltre a travi, pannelli, lamiere e qualche arredo c’era anche tanta mano d’opera. Data l’imminente arrivo della bella stagione mi misi subito a lavoro per reperire quanto necessario e in breve tempo riuscii a coinvolgere anche molti amici e familiari che senza esitazione risposero al mio appello mettendo a disposizione entusiasmo ma anche capacità, materiale e mezzi. alla fine della stagione primaverile tutto il materiale era pronto nel mio garage, quello acquistato, quello donato e quello recuperato tra le mie cose. Avevo anche pensato ad un nome da dargli, “La Capanna” un po’per l’etimologia del termine, un po’ per lo stato in cui versava ed un po’ perché l’estate precedente ero finalmente riuscito a salire a Capanna Margherita dal rifugio Mantova, un’esperienza per molti motivi pazzesca non solo per il raggiungimento della Punta Gnifetti ma per come ci arrivai e soprattutto per lo scopo di quel viaggio straordinariamente autorizzato dal CAI Varallo, ma questa è tutta un’altra storia……

Nelle settimane successive con mezzi adatti alla ripidissima e malconcia sterrata iniziammo a trasportare il materiale “Ai Piani Stefanini” e piano piano iniziando dal tetto fino alla base rimettemmo a nuovo la struttura passando in quel posto indimenticabili giornate di lavoro, amicizia cibo e birra.

Un grazie va sicuramente a chi oggi non c’è più e quel giorno sul Viglio mi ha suggerito l’idea, forse attraverso un soffio di vento o per mezzo di una farfalla che si è poggiata sul mio zaino, a Fausto per i suoi occhi lucidi mentre mi rispondeva, ai tanti amici volenterosi e capaci che ancora oggi mi sopportano e mi aiutano nei miei progetti in fine a tutti quelli che nel tempo avranno cura di quel luogo.